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Architettura panacea

A cura di Alice Corbo

 

ARCHITETTURA PANACEA: perché in Italia (e in Basilicata) a nessuno interessa il pensiero architettonico?

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Il 25 Novembre si è conclusa la 16a Mostra Internazionale di Architettura alla Biennale di Venezia, e di nuovo è calato il sipario sul tema in questione.
L’architettura è un po’ come il sesso: tutti sanno cosa sia, tutti ne hanno bisogno, tutti lo praticano; nessuno ne parla.
Eppure, negli ultimi anni, si è riusciti a sdoganare – almeno parzialmente – i più svariati pregiudizi circa la sessualità, invece all’architettura manca ancora questa emancipazione.
Come si costruisce un edificio? Ma, soprattutto, perché lo si costruisce e con quali finalità?
Ogni cittadino del mondo è nato nell’architettura, vive di architettura e si circonda di essa, inevitabilmente, senza però porsi interrogativi: come un piatto servito caldo in tavola, di cui non domandiamo la ricetta, o la provenienza degli ingredienti, i tempi di preparazione e cottura, limitandoci a trangugiarne il contenuto e lavando via svogliatamente i resti di cibo sotto il getto dell’acqua corrente.
L’architetto Mario Cucinella, curatore – col suo team – del Padiglione Italia alla succitata manifestazione lagunare, afferma, in un articolo pubblicato sul numero 390 di Ottobre de Il Giornale dell’Arte: “[…] in Italia l’architettura non interessa alla politica, così come non interessano la progettazione e la pianificazione urbana. […] Non ho mai sentito un presidente del Consiglio dei Ministri parlare di architettura. Ma questo silenzio è soltanto una delle tante dimostrazioni del fatto che in Italia l’architettura non è intesa come strumento di rappresentazione non soltanto della politica, ma più in generale della collettività e dell’intero Paese.”
La sua “moderata” invettiva sorge da un fatto di cronaca che ha danneggiato l’immagine del nostro Paese nel mondo, ma soprattutto, in maniera intrinseca, il nostro Paese stesso: il crollo del Ponte Morandi, avvenuto il 14 Agosto scorso.
La figura professionale dell’architetto troppo spesso è declassata a un vanesio connubio di velleità e capriccio, è vituperata in quanto responsabile di brutture in senso materiale che innescano brutture in senso sociale e dunque in senso lato. “… E l’edilizia è ferma”, dicono genitori apprensivi a ragazzi temerari che ancora oggi intraprendono un corso di studi in Architettura.
Il punto non è tanto che l’edilizia sia ferma, quanto che lo sia il pensiero. Lo sviluppo è un’azione, un moto, e richiede carburante. Da un punto di vista fisico, anche il pensiero viene considerato una forma di energia, e come una pala eolica o un pannello fotovoltaico (per superare, in definitiva, i combustibili fossili) attingono dall’ambiente per creare e trasformare, analogamente l’attività intellettiva umana necessita di stimoli esterni, i quali a loro volta vengono generati da un’azione precedente, per cui il motus di cui parliamo è riconducibile a quello circolare.
Non a caso anche l’economista Kate Raworth sostiene che sarà una ciambella a salvarci.

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Se è difficile discutere di architettura in Italia, lo è ancora di più nel Mezzogiorno, nonché nella regione Basilicata, costellata di piccole e grandi cattedrali nel deserto, terra obliata, calpestata, condannata ad un’eterna staticità che rasenta la regressione.
Come si può ragionare di tematiche apparentemente frivole come quelle architettoniche quando ci sono problemi irrisolti di natura più onerosa?
Direbbero i più, ignari del potere salvifico dell’architettura; anche quando c’era la miseria e Cristo stazionava a Eboli, il Carosello andava in onda.
L’allestimento alla Biennale di Venezia 2018 ha voluto proprio dar voce a quei luoghi che stanno scomparendo lungo la dorsale appenninica: il 60% di territorio nazionale con solo il 25% di popolazione, risucchiati nell’eremo di una vita costituita di solo lavoro e sacrificio delle comunità prevalentemente anziane che vi abitano; tra questi luoghi figurano Ferrandina e Grassano.
Già nel Settembre 2012 l’allora Ministro per la Coesione Fabrizio Barca ha avviato SNAI (Strategia Nazionale Aree Interne), il cui documento confluiva nell’Accordo di Partenariato dell’UE, che si poneva un duplice obiettivo: da un lato migliorare quantità e qualità di istruzione, salute e mobilità, dall’altro promuovere progetti di sviluppo che valorizzassero il patrimonio naturale e culturale delle suddette zone. Mario Cucinella Architects ha scelto di dare credito al Laboratorio Basento esponendo ed esplicando, tra i tavoli e le installazioni di Arcipelago Italia, il lavoro di BDR Bureau e Gravalos di Monte Arquitectos rispettivamente per lo scalo di Ferrandina e per quello di Grassano. Il progetto inerente Ferrandina prende le mosse dallo slogan transit-exchange-stopping, una sorta di re-make 2.0 del triangolo vitruviano in virtù della necessità di estirpare questi posti dalla loro logorante condizione di abbandono; dunque il giovane studio torinese ha pensato bene di immaginare lo spazio della stazione come un contemporaneo caravanserraglio, un hub polivalente, operativo, multifunzionale, l’antitesi del non-luogo – come sentenzierebbe Marc Augé in merito a qualsiasi stazione – ergo un’architettura da vivere. La chiave d’accesso al nuovo mo(n)do di costruire è quindi il ri-utilizzo intelligente, la ri-generazione, in seguito a una ri-valutazione di ciò che c’è già; gli stessi architetti torcono il naso dinanzi a monumentali cantieri, bisogna ripartire dal piccolo, dissacrare la forma e avvalorare il significato.
Lo studio spagnolo di Patrizia di Monte, proprio assecondando tale principio, ha insistito sul topic della connessione nel sito di Grassano, operando in campo quasi completamente immateriale, cementificando il meno possibile, prediligendo il software, ossia la promozione di nuove attività, all’hardware, il quale, pertanto, rimane la ferrovia dismessa. L’intento è elementare: realizzare una rete di infrastrutture comuni tra le località limitrofe, cagionando flussi di persone tra cima e valle che si traducono in scambio di informazioni e quindi libera circolazione di idee, sapere, artigianato, cultura, chi più ne ha più ne metta.
L’innovativo ideale di stazione in posti come l’entroterra lucano non concerne affatto strutture imponenti quanto vane, stupefacenti quanto autoreferenziali, incomprensibili per chiunque desideri solo vivere bene, pur non masticando quelle minuziose nozioni dell’ambito specifico. E per vivere bene sono opportune poche cose oltre al soddisfacimento dei requisiti esigenziali di base: dinamismo, collaborazione, creatività. Cos’è, d’altronde, il culto del bello?

« Quando qualcuno dice:
questo lo so fare anch’io,
vuol dire che lo sa Rifare
altrimenti lo avrebbe già fatto prima. »
Bruno Munari, Verbale scritto, 1992

 

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