Mercoledì 26 giugno l’Università della Basilicata, la mia università, ha organizzato nel centro storico di Potenza una “Giornata del laureato”, che vedrà sfilare docenti e laureati, in tocco d’ordinanza, da Piazza Prefettura a Piazza Matteotti, dove avverrà la consegna dei diplomi. Come recita il comunicato stampa, l’iniziativa si modella sul “Graduation day” dei college anglosassoni, per i quali la sfilata dei docenti nelle città universitarie in occasioni importanti è antica tradizione. Volerla riprodurre in Italia, sull’esempio di altre università, potrà stupire qualcuno; ma io non sono a priori contraria a manifestazioni che, sia pure attraverso aspetti spettacolari meno usuali nella nostra storia accademica, mirino a rendere evidente la presenza dell’università nel suo territorio, a confermare e – se possibile – a potenziare quello che, sempre in termini anglosassoni, può definirsi il rapporto fra town e gown, città e toga. Poiché del resto ho fatto del rapporto tra università e territorio uno dei principî informatori della mia attività di docente, non sono certo in principio contraria a iniziative che si propongano di rafforzare questo rapporto. Quando però ho letto il programma completo della giornata, con stupore ho notato che l’unico momento di riflessione culturale previsto è stato affidato non a un professore, ma a un giornalista e scrittore, Oreste Lo Pomo, chiamato a parlare di “Cultura e Conoscenza, valori di democrazia”. Tutti conosciamo e apprezziamo il valore intellettuale di Oreste Lo Pomo, che terrà certamente un intervento di alto valore; e in una società moderna non v’è dubbio che, sui temi della cultura e della democrazia, la voce di un eccellente giornalista debba essere da tutti ascoltata. Non capisco però perché la mia università non abbia ritenuto di far parlare, su questi temi, anche uno dei suoi componenti. Nel momento in cui i docenti universitari sono chiamati soltanto a sfilare e partecipare alla consegna degli attestati di laurea, quasi muti figuranti o lontane icone, mentre l’unico intervento culturale viene affidato ad una diversa voce, il rischio è che qualcuno possa pensare che l’università non abbia, su cultura e democrazia, nulla da dire, e che il suo ruolo sia solo quello di un diplomificio o di una comunità chiusa in sé che ogni tanto esce a prendere una boccata d’aria e a farsi rimirare ma non ha interesse a un vero e sincero rapporto con il resto del mondo. Così naturalmente non è, ma così rischia di parere, se proprio quando l’università si presenta alla città paradossalmente non coglie l’occasione per comunicare, in vivo dialogo con le altre voci della società, i frutti di quella elaborazione critica del sapere cui essa per vocazione e fini istituzionali attende. Per queste ragioni, e poiché tacere generalmente non mi piace, io non sarò presente alla manifestazione.
Patrizia Del Puente