A cura di Alice Corbo
VENUTO AL MONDO, regia di Sergio Castellitto, 2012
Sarajevo 1984, olimpiadi invernali. Gemma arriva nella capitale bosniaca per via della sua tesi su Ivo Andrić, conosce Diego e se ne innamora; i due si sposano e vanno a vivere a Roma, ma Sarajevo è al tempo stesso incantata e stregata, e nonostante la guerra che insorge nel ’92, si recano nella città sotto assedio, cui sentono di appartenere da un rapporto viscerale che li lega a quei luoghi velati e attraenti. Il dolore della guerra non si ravvisa solo nei morti per strada e nelle granate che perforano gli edifici, ma anche nell’intimità di un amore folle e ammalato, di una maternità negata, di sentimenti a lungo taciuti e poi esplosi come mine nel sottosuolo. Questo film – il quarto nella carriera di Castellitto regista e il secondo adattamento di uno dei romanzi della moglie Margaret Mazzantini – è un omaggio ad una città dolente per sua natura storico-culturale, alla sua gente burbera dall’animo buono, alla sua mesta compostezza. Perché Sarajevo non è bella, non è europea, non è musulmana, cristiana o ebrea, è fatta di silenzi tanto quanto di chiassosi mercati, è una fenice che rinasce ogni volta dalle ceneri delle sue mille contraddizioni, è un costume d’Arlecchino rabberciato con gli avanzi e cucito addosso indistintamente a minareti e campanili, tra gli ossequi della kasbah e le pretese occidentalizzanti.
YOUTH – LA GIOVINEZZA, regia di Paolo Sorrentino, 2015
Le terme di Vals dell’architetto Peter Zumthor, incastonate tra le vette delle Alpi svizzere, fanno da scenario a questo vero e proprio trionfo del plasticismo di Paolo Sorrentino. Il regista napoletano mette in scena la temperanza tipica dei personaggi delle sue vicende in una cornice altrettanto misurata, in un cocktail di esistenzialismo senza orpelli o sbavature, puro come l’aria che si respira a più di mille metri di altitudine. La trama è abbastanza lineare, due anziani in lotta con la loro stessa anzianità – chi per un motivo e chi per un altro – ma il fiore all’occhiello dell’intera opera è la fotografia del film, curata da Luca Bigazzi, che niente ha da invidiare alla ricerca compositiva e coloristica dell’americano Wes Anderson, maestro nella giustapposizione di elementi nei fermoimmagine delle sue produzioni cinematografiche, ma sicuramente interpretata con una sobrietà tutta italiana, meno bidimensionale e più ad altorilievo.
SILENCE, regia di Martin Scorsese, 2016
Una bibbia per miscredenti, questa allestita da Scorsese in un capolavoro tanto silenzioso nell’esecuzione quanto rumoroso nel significato. Il pluripremiato regista sposta la cinepresa dalle zone suburbane in cui ambienta i suoi film diventati cult – Taxi Driver, Raging Bull, Goodfellas, The departed – ad un Giappone lontanissimo non solo geograficamente ma anche temporalmente: la vicenda si svolge nel XVII secolo e vede protagonisti tre gesuiti, la cui fede religiosa è messa a dura prova da un dissidio interiore tra etica e morale cattolica. È incredibile quanto sapientemente Scorsese si destreggi tra le mille sfaccettature di una tematica così angusta eppure così delicatamente popolare, senza mai fare troppo o troppo poco, senza mai scadere nella retorica, ma invocando crudamente un Dio che si fa ancora più invisibile. Il Giappone per gli architetti e studenti di architettura è sempre un po’ come il richiamo delle sirene nell’Odissea: il fascino sempiterno di Villa Katsura, i viaggi di Frank Lloyd Wright, le opere di Tadao Ando disegnano una terra dove chiunque sogna di approdare. Le antinomie del Giappone sono state diverse volte interpretate da registi occidentali, ora immergendosi rispettosamente nella località, ora riaffiorando a galla nella globalità, quando gli strumenti a loro portata non erano bastevoli ad una mimesi totale: Hiroshima mon amour, Lost in translation, Memoirs of a geisha, Seta, e la nuovissima produzione Netflix Earthquake bird sono solo alcuni dei più noti.
“Andare al cinema è come andare in Chiesa per me, con la differenza che la Chiesa non consente il dibattito, il cinema sì.” (M. Scorsese).