A cura di Chiara Potenza
Un po’ di tempo fa mi sono ritrovata a pensare di poter affrontare tutti i problemi che la mia età comportava con un unico, grande atto: il suicidio.
Il suicidio infatti era per me l’ultimo grido disperato per esprimere i miei sentimenti, i quali non venivano compresi da coloro che mi circondavano e a cui avevo gridato tutta la mia angoscia.
Avevo provato ad esprimermi in tutti i modi: disegnando, scrivendo, parlando, ribellandomi ma non ottenevo risposta se non: “devi ancora crescere e poi capirai quali sono i problemi reali della vita”.
Io in quella maniera però non volevo crescere, mi sembrava di dover sostenere un peso incredibile e allora ho pensato che se mi fossi scrollata quel peso di dosso con un gesto che non poteva passare inosservato forse le cose sarebbero cambiate per chi restava e forse loro sarebbero stati meglio.
Ma il suicidio è un atto che per quanto può essere forte dopo un mese o due viene dimenticato.
Le persone non si soffermano a pensare a ciò che possano aver fatto per portarti a quel gesto ma credono che quello sbagliato sei tu, che sei un codardo ad aver mollato, senza pensare che in realtà forse hai provato a combattere una battaglia più grande di te.
Il suicidio non è mai una decisione a sé di qualcuno. Il suicidio è un omicidio silenzioso compiuto dagli altri che non si sporcano le mani ma la coscienza attraverso parole, gesti, scherzi, fatti o detti in momenti in cui eri troppo fragile per reggerli.